Vini non convenzionali
Sono vini più o meno fatti come negli ultimi duemila anni, con maggior rispetto per terreni ed ambiente, con un po’ più di lavoro e qualche preghierina agli dei. Ora vengono chiamati sostenibili, naturali, biologici, biodinamici, a seconda degli obbiettivi giudicati prioritari o della parrocchia di riferimento. A pensarci bene il naturale percorso del vino è quello di diventare aceto, un derivato che non piace come il vino, e quindi ecco l’arrabattarsi dell’uomo a ritardare con mille artifizi questa fine poco commerciale.
Il paradosso sta nel fatto che, quando diciamo di un vino che avrà lunga vita, in realtà tecnicamente sarebbe una lenta morte, ma tutto sta nell’intenderci. Ecco il motivo per cui nei vini “non convenzionali” potrebbero, con naturalezza, formarsi molecole non salutari da degrado biologico, come cadaverine o putrescine il cui nome è tutto un programma, anche questo sempre naturale.
Sono leggermente pessimista sulla dipendenza dalla chimica per l’alimentazione dell’uomo del futuro, penso che la chimica alla fine vincerà, quella del DNA e delle tecniche di laboratorio, sempre più progredite negli anni a venire. Con una popolazione oggi di 7,5 miliardi di persone ed un inarrestabile bisogno di città, strade, auto, centri commerciali, merci di ogni tipologia, tutto per non fermare le economie e risvegliarci improvvisamente poveri, è solo una questione di tempo. Mangeremo la bistecca al gusto di “manza chianina” ricavata dalla coltura di cellule in laboratorio, o la banana gigante del film “Il dormiglione” di Woody Allen, o un Carmenère dei Colli Berici fatto con tutte le 200-300 sostanze da sintesi che dentro ci vogliono, questa volta sì davvero un vino non convenzionale di origine controllata.